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Vedete anche voi quello che vedo io?
Lettera di fine anno
28 dicembre 2016
Era da molto tempo che non guardavo programmi televisivi, ma ieri sera è successo. Quel che ho visto è stato uno specchio della realtà che qualcuno vuole per noi e mi sono chiesta: possibile che tutti assistano impotenti al tentativo continuo di spegnere le menti e far ammalare i corpi?
Il film in onda trattava il tema della vendetta, la vendetta di chi aveva subito un sopruso ed era quindi giustificato nell'utilizzare le stesse armi di morte degli aguzzini. Sulla scena c’erano violenza, crudeltà, morte.
Poi la pubblicità.
Ogni intervallo conteneva almeno uno spot che istigava al gioco mostrando persone sorridenti che fissavano il telefonino e abbassando la voce sulla frase finale che dichiarava la dipendenza che il gioco può creare.
In alternanza ai vari bingo, ecco un uomo e una donna ammalati che stavano velocemente meglio grazie ad un farmaco e che, una volta rimessi in sesto, anche se in buona salute venivano invitati ad assumere un integratore alimentare per migliorare ulteriormente lo stato di benessere.
Quanti siamo a vedere che gira tutto al contrario?
Il corpo dice ciò che la bocca tace e quando l’organismo si ribella ai ritmi sempre più frenetici ai quali lo sottoponiamo e con la febbre o il mal di testa ci trasmette il messaggio “riposati!”, noi cosa troviamo più logico fare? Riposarci o prendere un farmaco che sopprima quella vocina e che ci faccia tornare subito in pista per contribuire all’innalzamento del PIL?
Se ascoltiamo i messaggi di amore del corpo prendendoci cura in modo amorevole e rispettoso della nostra salute, non ingrassiamo nessuno ma se, al contrario, ci insegnano a sopprimere, a pagamento, la voce delle nostre cellule, allora sì che diventiamo un business interessante.
Cosa farà il nostro corpo che ci stava gridando “sono stanco, fermati”? Urlerà ancora più forte magari manifestando stavolta il suo dissenso nei confronti della nostra condotta di vita con una malattia cronica ma, ancora una volta, il sistema sanitario avrà la ricetta giusta per venderci nuovamente il rimedio per sopprimere il sintomo e così via fino alla degenerazione delle cellule che richiederà cure sempre più remunerative, per qualcuno.
Noi siamo un business solo se siamo malati. In oriente funziona diversamente; ogni tre, quattro mesi le persone vanno dal medico affinché questo controlli lo stato generale di salute e, in caso dovesse rilevare uno squilibrio, prescriva rimedi (per lo più erbe e consigli alimentari) per ripristinare l’armonia generale.
Il paziente paga un’esigua parcella e se ne va con le ricette atte a prevenire l’insorgere di una patologia. Se però qualcuno si ammala, è il medico che deve recarsi dall’ammalato per le cure del caso e, in questo caso, il dottore non viene pagato.
In oriente, quindi, i più bravi e ricchi sono i medici che hanno numerosi pazienti sani, il contrario di quel che succede da noi dove il medico capace è quello che ha al suo attivo centinaia di malati.
Quindi avanti con i programmi televisivi che ci indeboliscono creando stati di tensione e che mostrano la violenza giustificata in quanto risposta ad un sopruso?
Avanti a non mostrarci che anche combattere il male contribuisce a creare ulteriore male?
Avanti a non aprirci gli occhi sulle azioni non violente che possono sanare alla radice gli individui e di conseguenza la società?
Avanti con l’insegnamento indefesso a non ascoltare i messaggi del nostro corpo per non essere mai uomini e donne felici, ma individui stressati e malati bisognosi continuamente di cure?
C’è una buona notizia ed è per tutti: siamo noi che accendiamo il televisore per guardare certi programmi e che quindi possiamo non accenderlo o cambiare canale, siamo noi che possiamo optare per una trasmissione o un libro che ci stimoli sensazioni di bellezza, allegria, rilassamento, siamo noi che possiamo decidere di non sopprimere ma di ascoltare i messaggi del nostro corpo, siamo noi che possiamo diventare consapevoli che la vita che abbiamo in dono ha un valore inestimabile e che onorarla e gustarla è il nostro primo compito.
Poco importa se fin da bambini ci hanno addestrati a non ascoltarci ma ad eseguire gli ordini altrui perché in noi brilla una luce che non ha mai smesso di splendere; è sufficiente soffiare sulle nuvole e la meravigliosa essenza che riluce in ogni essere umano tornerà a illuminare la nostra e altrui vita.
Imparare a riconoscere le nubi, diventarne consapevoli e lasciar emergere la voce del cuore che ci parla nel silenzio, farà affiorare la gioia di ogni respiro.
È questo il significato dei miei auguri di buon anno, affinché ogni respiro sia un dono gustato.
Mi dica, Signor Ministro, lei ce l’ha, questo coraggio?
Lettera al Ministro dell'Istruzione
20 novembre 2016
A: <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;, <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;, <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>;
Signor Ministro dell’Istruzione,
mi dice cosa ricorderà un ragazzo a proposito della tragedia manzoniana che consiste nel rifiuto delle tre unità aristoteliche accettando solo quella dell’azione ma intendendola come un complesso organico di azioni?
Glielo dico io: non ricorderà nulla.
Ma se un professore, quando presenta Manzoni, entrasse in classe con i “Promessi Sposi” in mano e leggesse con le lacrime agli occhi lo strazio composto di una madre malata di peste che esce “d’uno di quegli usci” con la sua bimba in braccio “di forse nov'anni… col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno…”, ecco, io le assicuro che i ragazzi non si dimenticherebbero più di Alessandro Manzoni.
Chi insegna deve essere infiammato di passione per la propria materia perché è solo quella passione che lascerà un segno profondo negli studenti. Se i professori non ne sono dotati, devono cambiare mestiere, perché quando si ritrovano in classe con cinquanta occhi addosso, se non sanno divertirli, commuoverli, sorprenderli, affascinarli, quegli sguardi, cosa sono lì a fare?
I ragazzi sono affamati e curiosi a sei anni e, verifica dopo verifica, vengono addestrati e rimpinzati fino alla nausea. Ridotti ad una raffica di voti, interrogati con la minaccia dell’insufficienza, vivono la scuola con eccessiva ansia e sono destinati a dimenticare la maggior parte delle nozioni che vengono loro inoculate.
Lei non deve permetter, Signor Ministro, che basti la conoscenza nozionistica di una materia infiocchettata dal diploma di laurea per poter diventare docenti. Le chiedo di istituire un iter per i futuri educatori allo scopo di insegnare loro come si comunica, come si trasferisce un interesse, come si possono scoprire e sviluppare i talenti insiti in ogni individuo. I professori devono in primis amare la vita per poter trasferire una passione, portare in classe sacchi di foglie gialle e rosse per parlare dell’autunno, inventarsi lezioni ogni volta uniche, capisce cosa intendo?
Un insegnante non può essere una persona qualsiasi perché sta formando la generazione che potrà conservare o distruggere questo pianeta. Educare significa “tirar fuori”, trarre cioè dalla persona quanto la stessa ha in sé da sviluppare e oggi, salvo una manciata di docenti fuori classe e realtà sul modello, ad esempio, della Steineriana, non succede.
Affido a lei, Signor Ministro, il delicato compito di riformare la scuola perché possa forgiare uomini e donne appassionati e creativi, fuggendo l’attuale appiattimento che li vuole tutti uguali.
Non abbia paura ad osare!
Mi rendo conto che le persone libere e felici non sono più controllabili, ma, viva Iddio, genereranno un’Italia che armata di bellezza, creatività ed entusiasmo travolgerà il mondo!
Tutto questo non è un’utopia, ma ci vuole coraggio (cor habeo). Il coraggio di rinunciare agli schiavi in favore degli uomini liberi.
Mi dica, Signor Ministro, lei ce l’ha, questo coraggio?
Bianca Brotto
Brescia