TI PREGO NON ANDARTENE. NON STANOTTE

Questa è la storia di due gemelli che avevano deciso di incontrarsi una sola volta all’anno, e di quell’indimenticabile 7 febbraio.

Breve excursus storico: portati a Roma all’età di 12 anni per studiare (siamo nel 492 d.C.), i due fratelli videro la corruzione e la depravazione di quell’epoca successiva alla caduta dell’impero romano e, in seguito, decisero di ritirarsi dal mondo:

Benedetto visse alcuni anni da eremita e poi fondò l’Ordine dei Benedettini basato sulla ‘Sancta Regula' da lui stesso scritta e Scolastica, fattasi monaca, fondò il Monastero di Piumarola dove diede inizio all’Ordine Benedettino femminile.

Quel 7 febbraio del 547, giorno del loro incontro annuale in una casetta di Montecassino che si trovava a metà strada tra i loro due monasteri, Benedetto e Scolastica trascorsero la giornata a parlare di Dio e degli uomini nutrendosi della reciproca compagnia finché venne, insieme al tramonto, il momento di separarsi.

Benedetto si alzò per salutare la sorella, ma Scolastica reagì in modo del tutto inaspettato implorando il fratello di non andarsene. Non quella notte. 

Benedetto le disse di non potersi fermarsi, la sua Regola glielo imponeva. Scolastica scoppiò a piangere; aveva bisogno che quel colloquio spirituale non finisse, non quella sera, e pregò Dio con ardore affinché il fratello non partisse.

In quel momento scoppiò un temporale furibondo che costrinse il monaco a fermarsi fino al mattino successivo.

Disse Benedetto: “Poté di più colei che più amò”. Il loro dialogo proseguì quindi a oltranza lungo le pieghe della notte.

Fu il loro ultimo incontro.

Tre giorni dopo Benedetto vide l’anima di Scolastica salire verso il cielo sotto forma di una colomba e il 21 marzo, a sei settimane di distanza dalla sorella, giunse anche per lui il momento di lasciare il corpo.

Ci sono persone che percepiscono la sacralità di momenti che diventano ‘ultime volte’ e la necessità di fermarsi per stare lì, immersi in quel frangente di vita che diventerà uno spartiacque fra il prima e il dopo quell’istante.

Per lo più, tuttavia, non facciamo che correre da un impegno all’altro. Per andare dove, mi chiedo? Le risposte piovono e sono tutte di ordine pratico, ma la domanda resta: per andare dove? 

Il mio amico Antonio se ne è appena andato crollando di colpo a terra come un fantoccio snodato al quale il burattinaio recide il filo e in me restano le sue parole di pochi giorni fa quando, in risposta a una candela accesa per sostenerlo nella quotidianità, mi scrisse:

“La tua Luce è continua, persistente e risuonante come una preghiera rivolta Là dove si reggono le fila di noi piccole marionette alle quali basta un niente per rompere il filo che ci farebbe accasciare prive di vita”. 

Hai ragione, Antonio, basta un niente. Ricordiamocelo quando ci viene in mente qualcuno da chiamare, quando regaliamo energie alla rabbia, quando abbiamo tutto noi da fare, “poiché - ci ricorda Gibran - la vita procede e non s'attarda su ieri”. 

Che il nostro essere appesi a un filo diventi un quotidiano brindisi a chi è già tornato a Casa e a noi che siamo ancora qui a giocarci la partita del mondo, una finale di coppa che ci chiede sempre e solo un unico goal: portare il nostro amore nel mondo.

 ACQUISTA LA RACCOLTA COMPLETA
DEGLI ARTICOLI 2020-2021 LINK

#12novembre2022
#GiornaleDiBrescia


LEGGI GLI ALTRI ARTICOLI