PER VOLERE UN'ALTRA VITA, GUARDIAMOCI DENTRO 

“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. 

Nel leggere questo scritto di Calvino, il racconto di un’amica mi scorre dentro, insieme all’acquamarina del suo sguardo: «Succedeva 15 anni fa mentre stavo traslocando - racconta - per andata ad abitare sulle colline vicino a un grande carpino.

Non era solo per avvicinarmi all’albero che mi spostavo, sai? In verità speravo che, abitando lassù, la mia vita, seppur con gli stessi attori, sarebbe cambiata.

Imballando nelle scatole ciò che avrei portato con me, trovai alcuni diari e li sfogliai. Quanta tristezza avevo sfogato su carta raccontando ferite, litigi e sconfinata amarezza!

Quelle parole, tuttavia, erano state lacrime su inchiostro che, fuoriuscendo, avevano reso possibile la mia sopravvivenza.

Non ebbi il coraggio di portare quegli scritti sulla collina, né di bruciarli o di abbandonarli come cadaveri lì dov’erano perché l’olezzo, prima o poi, mi avrebbe raggiunta». 

«Quindi?» chiesi.

«A Venezia  - riprese - avevo imparato a lavorare la carta riciclata e macinai con il frullatore fogli e tristezza. Con la poltiglia che ne ricavai riempii alcuni telai che colorai e completai con petali e fili di lana.

Il risultato furono tre tele variopinte che facevano brillare gli occhi di chi le osservava forse anche per via della trasmutazione del dolore che contenevano.

Negli anni me li chiesero da esporre ad una mostra e fu lì che una parrucchiera li vide e ne volle a tutti i costi uno per il suo Salone.

Glielo diedi e, invece che farmi pagare, concordai con lei un cambio merce trasmutando ancora una volta il dolore, stavolta in amor proprio». 

«Mi chiedi come andò? - si spostò una ciocca bionda - Andò che voltai sì pagina ripetendomi che non avrei più permesso certe cose ma, su alcuni fronti, sono al punto di partenza. Con strumenti diversi, però.

Ho infatti compreso che il mondo è lo specchio di chi sono io e che non è di certo pulendolo, cioè traslocando, che la mia immagine riflessa cambia.

Se voglio un’altra vita devo guardarmi dentro - disse con sguardo dritto al punto - cioè "cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” come dice Calvino.

Adesso l’ho fatto e invece che rifugiarmi in soluzioni esterne, sono entrata in me dando così spazio all’Incontro degli incontri».

«Storia a lieto fine?»

«Eccome! Mentre mi godo il massaggio al cuoio capelluto, osservo l’allegria del mio pannello colorato appeso alla parete del Salone e assaporo il piacere del momento. Sto imparando ad amarmi, finalmente.

Quanto ci ho messo a far mio questo primo comandamento!» esclama.

Chiudo gli occhi e la vedo, nel silenzio della collina, avvicinarsi al maestoso carpino con passi di gratitudine. Sorrido al suo e al mio ovattato grazie.

 

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#4febbraio2023
#GiornaleDiBrescia


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