QUEL CHE ARRIVA... ARRIVA. E VA BENE COSì.

C’è un episodio della vita di Enrico, che ancora torna a trovarmi ogni volta che mi imbatto nei confini mentali che ci autocostruiamo; sarà per via di questi orizzonti talvolta limitati, mi chiedo, che non entriamo, come Enrico, in un’agenzia immobiliare per dichiarare che ci occorre una casa grande, preferibilmente isolata e con molto verde, bella o brutta non importa, ma soprattutto che non costi niente? 

Andò proprio così e, quel giorno, la reazione dell’agente alla richiesta del mio amico fu immediata: «Come, che non costi niente?»

«Certo! Ho venduto una fattoria in Germania e me la pagheranno a rate negli anni quindi non ho soldi, ma la casa mi serve subito» rispose Enrico. 

L’immobiliarista non vedeva soluzione, ma Enrico lo aiutò: «Non è così difficile, calcola che per me va bene anche una stazione ferroviaria abbandonata, o una vecchia scuola, un ufficio postale, un convento…».

Alla parola ‘convento’ il tipo si infervorò: «Ce n’è uno a venti chilometri da qui, ci abita solo un padre guardiano, ma lo stabile non è in buono stato» disse.

«Andiamoci subito» rispose Enrico che racconta: «Saliamo in macchina e arriviamo a Craviano dove conosciamo Padre Basiletti al quale, dopo aver visitato il convento, dico: “Lo sai che per te adesso cambia tutto?” “In che senso?” fa lui. “Nel senso che fra due settimane veniamo ad abitare qui”.

Il frate mi fa presente che solo il Padre Superiore avrebbe potuto prendere una siffatta decisione. “Chiedi pure a chi vuoi - gli dico - perché noi fra quindici giorni arriviamo”.“Vedrò quello che posso fare” risponde il monaco».

Era il 1983. Enrico tornò in Germania e di lì a due settimane lasciò la fattoria di Bronkhorst, dove aveva vissuto dieci anni, per trasferirsi nel convento di Craviano (Cuneo).

Arrivati in Italia, Enrico e famiglia si misero subito al lavoro perché l’edificio aveva bisogno di essere sistemato e con l’aiuto dei 4 figli, degli amici e dei soldi della vendita della fattoria in Germania che arrivavano a intervalli regolari, demolirono le docce comuni, tirarono via il linoleum dai pavimenti, lucidarono le vecchie piastrelle, una mano di pittura, una sistemata al tetto e, alla fine, ne uscì un bel lavoro. 

Enrico era così; un uomo che, pur avendone passate di ogni, ha sempre seguito il flusso degli eventi senza volerne mai assumere il controllo. Lui viveva il presente con intensità totale senza distrarsi in pensieri sul passato o elucubrazioni sul futuro. 

Quando gli ho chiesto quale fosse la sua ricetta, la sua risposta è stata: «Nessuna ricetta. Basta fidarsi. Quel che arriva arriva, e va bene così». In effetti, qualsiasi cosa succedesse, gioiosa o dolorosa che fosse, Enrico e i suoi familiari festeggiavano.

Oggi lo ringrazio per avermi mostrato la forza sublime dell’accettazione, l’unica in grado di trasformare il nostro presente, qualsiasi esso sia, in un angolo prezioso d’esistenza. Non solo.

Gli sono grata anche per avermi insegnato, con il suo esempio, a non permettere mai a paure e dubbi di dipingere confini invalicabili, perché il pennello che allunga o restringe gli orizzonti personali è sempre nelle nostre mani. Anche in questa primavera.

 

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#18marzo2023
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