IL QUOTIDIANO MATRIMONIO CON L'INFINITO

«La mamma se ne andò in uno stupendo pomeriggio fra le montagne di Cortina d’Ampezzo. Quel giorno lei cercò e aspettò me perché ricordava che quando la invitavo a meditare le dicevo: «Dài che ci alleniamo a morire“.

Lì per lì non reagiva proprio bene ma, via via il tempo passava e sorella morte la chiamava sempre più, quando mi vedeva, non potendo parlare, mi faceva un cenno che significava: andiamo ad allenarci.

Successe anche quel giorno; restammo soli per un’ora, io e lei, a godere dello spazio eterno fra i delicati respiri dello stato meditativo.

Alla fine colse, dopo un piccolissimo rantolo, il fiore del silenzio nella trascendenza e il suo volto si distese magnificamente nella bellezza che tutti ammiravano in lei. 

Per il suo funerale chiesi di evitare gli abiti scuri. Vicino alla chiesa un passante mi domandò: “È un matrimonio?” Risposi: “Sì, con l’infinito“. Poi vide la bara e scappò.

Papà aveva quasi raggiunto l’età di 104 anni. Quando gli domandai cosa avrebbe voluto fare in una prossima vita, rispose con gioia e senza esitazione: “Il notaio”. Sorrisi pensando: Repetita iuvant. 

Aveva cominciato a meditare a 70 anni. Da Sanremo mi chiamava per dirmi: “Sai, Paolo, adesso quando mi sveglio di notte non prendo più le pillole ma la parolina (il mantra), e dormo fino a mattina”. 

La sera prima del grande traguardo papà ebbe una visione così intensa e chiara dell’oltre da non riuscire a parlarne.

La mattina seguente si fece fare barba e bagno, poi disse: “Che strano, stamattina ho ancora un po’ sonno“. Chiuse gli occhi e volò via.

Era il 12 gennaio, il giorno in cui era nato Maharishi» il mistico e filosofo indiano padre della meditazione trascendentale che l’uomo praticava.

Ascoltando i racconti di Paolo che profumano di pace e non certo di morte, mi dico: è lì che dobbiamo arrivare.

Abbiamo una vita intera per prepararci non alla fine di tutto, ma all’inizio di tutto, perché l’accettazione serena nel “dopo” ci porta a godere appieno del “prima”. Come? 

Le vie sono molteplici: meditazione, preghiera, contemplazione della natura, yoga, tai chi, respirazioni, lettura, musica… e sono tutte facilmente riconoscibile dai doni che elargiscono quali calma, creatività, energia, chiarezza mentale, gioia e, soprattuto, pace, la pace dell’incontro con le nostre profondità, condizione che resta immutata anche quando tutt’intorno il caos imperversa. 

La prossima settimana, alle 4:27 di venerdì 22 dicembre, la stagione che mette in scena il fine vita biologico scollinerà mostrandoci che la notte più lunga dell’anno è già alle nostre spalle, che le ore di sole aumentano sempre più e che, recita Tagore, “la morte non è una luce che si spegne, è mettere fuori la lampada perché è arrivata l’alba”. 

In questi ultimi giorni d’autunno possiamo ancora lasciar andare le foglie avvizzite, ma tenaci, delle ferite e dei rancori per prepararci alla luce crescente dell’inverno e alla celebrazione e accettazione, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, del quotidiano matrimonio con l’infinito. 

Perché?

Perché non avremo pace finché non lo troveremo, l’infinito.

Perché il finito, lo sappiamo, finisce e non ci sazierà. Mai.

 
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