LA PRIMA E L'ULTIMA VOLTA DELL'ABITO NERO

Si sposò con Enrico in una chiesa italiana, Monique. Indossava un elegante tubino di seta nero «perché è sera e c’è già l’oscurità - affermò - e poi nero perché il matrimonio è una cosa seria».

Lei non lo disse ma quell’abito, scelto per sancire il momento sacro di unione all’amore terreno, sarebbe stato indossato anche alla fine dei suoi giorni per celebrare l’unione solenne all’Amore Supremo.

Fra la prima e l’ultima volta dell’abito nero successe una vita fuori dall’ordinario che Monique documentò e che Enrico mi chiese di raccontare in un prezioso libretto da lui visionato e approvato pagina dopo pagina. 

In una delle ultime righe Monique scrive: «Mi sono accorta che a guardare un album di foto di famiglia si pensa: sono tutti un po’ matti. 

C’è poca realtà in quel mondo fatto di persone sempre ben vestite, sorridenti, in festa. Compleanni, natali, pasque si susseguono un anno dopo l’altro con la rapidità di un carosello scintillante che gira a suon di valzer.

Ci vorrebbero anche pagine vuote dove soffermarsi e pensare a tutte le contrarietà, le difficoltà della vita, gli spaventi del cuore, i sacrifici, le fatiche del lavoro e le lacrime versate nei momenti struggenti».

Monique si ammalò nel 2007 e non fece parola con nessuno della malattia che decise di affrontare a casa con Enrico a fianco e la serenità di chi percepisce e dispensa l’amore che tutti abbraccia.

Preparò la sua dipartita non trascurando alcun dettaglio e adattando lei stessa l’abito nero di pregiata seta belga, con il quale si era sposata, perché fosse pronto per l’ultima notte. «In questo vestito ho consacrato nel matrimonio l’amore che Dio mi ha donato e in questo vestito desidero racchiudere il mio corpo nel passaggio a Lui». 

Preparò i biglietti da inviare post mortem, pensò alla cerimonia funebre, a dove disperdere le ceneri e alla festa d’arrivederci alla quale, quando sentì prossimo il traguardo, invitò figli e nipoti che vivevano lontani.

Arrivarono tutti a Salò ignari di quanto sarebbe accaduto. Mangiarono in allegria e, giunti alla fine, Monique annunciò che di lì a una manciata di giorni sarebbe morta.

Era in pace, luminosa e non voleva che in alcun modo si angosciassero per lei. Si congedò quindi con ognuno dispensando sorrisi e regalando loro parole serene:

«Sento la grande gioia dell’amore di Dio per me, mi rammarico solo di non poterlo apprezzare completamente perché non lo riesco a contenere tutto e mi sento incapace a corrispondervi: Dio è troppo grande ma fra poche ore, nell’aldilà, capirò e godrò di tutto. Per questo vi dico: gioite anche voi per me». 

Qualche giorno dopo, quando il campanile della chiesetta di Serniga suonò i rintocchi della mezzanotte, all’improvviso il viso di Monique da sofferente divenne tranquillo.

Si tirò su, si mise a sedere sul letto, alzò entrambe le braccia e, girando la testa verso il crocifisso, invocò con volto radioso: «Gesù prendimi, dammi la mano».

Poi chiuse gli occhi e spirò, mano nella mano, lasciando un biglietto pregno di gratitudine che finisce con un “ADiorivederci”, non per invitarci a raggiungerla, ma per ricordarci che in Dio, o se preferiamo nell’amore, ovunque siamo, saremo sempre insieme.

 

IL LIBRO SULLA VITA DI ENRICO E MONIQUE QUI

 

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