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ENRICO MANASSI
VIVERE NELL'ABBONDANZA SENZA POSSEDERE NULLA
UN MINI ASSAGGIO
“Tu che programmi hai?” mi fa.
“Programmi? Semplice, ogni dieci anni via tutto e ricominciare da capo”
“E perché?” mi chiede lei.
“Non so”.
Era il 1958 e invece di dire a Monique che l’idea che aveva in testa era quella di farsi frate, Enrico pronunciò quelle parole ignaro di aver abbozzato lo schizzo di una vita che, a cadenza decennale, l’avrebbe portato veramente a ricominciare tutto da capo.
Ogni dieci anni, infatti, arrivavano un nuovo lavoro, una nuova casa o una nuova nazione dove trasferirsi e i pezzi del puzzle componevano un diverso disegno con la fantasia di cui solo la vita è capace quando le si lascia condurre il gioco.
Davanti al caminetto acceso, Enrico mi raccontava spezzoni di esistenza vissuta sempre fidandosi e affidandosi al fluire degli eventi, cosa ordinaria per lui, ma straordinaria per me che pensavo di avere, a quel tempo, una sorta di controllo sugli eventi e sulle decisioni da prendere.
Enrico mi testimoniava altro: nonostante avesse deciso di non accumulare e di non avere nulla per sé, aveva sempre vissuto in luoghi bellissimi.
Come aveva fatto? L’aveva scelto, sicuro che la vita avrebbe provveduto e così era stato. Lui non aveva mai avuto dubbi.
Per questo, passando vicino ad un castello in Olanda senza un soldo in tasca, non aveva trovato strano pensare di andarci a vivere come non gli era apparso fuori luogo entrare in un’agenzia immobiliare e dichiarare di cercare un’abitazione spaziosa, immersa nel verde e che non costasse nulla.
Il suo patto con l’esistenza era di goderne i frutti, non di possederli.
Sembra facile dal momento che sappiamo che non ci serve accumulare nulla ma solo utilizzare alcune cose per un periodo limitato di tempo; tutti sperimentiamo che più beni abbiamo più siamo condizionati a doverli mantenere, così come sappiamo che le bare non hanno tasche, eppure caschiamo nell’illusione di dover avere molto per sentirci al sicuro.
La vita di Enrico ci mostra che si può scegliere una villa con giardino e delegare all’esistenza la modalità di acquistarla.
INCIPIT
L’abito
Si sposò in una chiesa italiana, Monique. Indossava un elegante tubino di seta. Nero.
La funzione civile ebbe luogo qualche giorno dopo a Bruxelles alla presenza dei soli genitori e dei testimoni e, in quell’occasione, la sposa si vestì di bianco.
La cerimonia religiosa, per Enrico e Monique, avrebbe sancito il loro legame per la vita e un matrimonio serale giustificava la scelta del colore nero. “Nero - aveva detto la sposa - perché è sera e c’è già l’oscurità e poi nero perché il matrimonio è una cosa seria”.
Lei non lo disse, ma quell’abito aveva un altro compito; quello di essere indossato un’ultima volta in un’ultima notte. Un abito per sancire il momento sacro di unione all’amore terreno, lo stesso abito per celebrare il giorno solenne di unione all’Amore Supremo.
Fra la prima e l’ultima volta dell’abito nero, successe una vita.
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