#giornaledibrescia

  • Auguri ad una figlia che è dall’altra parte del globo

    16 set 2015


    E poi succede, hai 17 anni e li compi dall’altra parte del globo. E io sono qui a guardarti crescere, sbocciare, esplorare il mondo… ti vedo sulla spiaggia di Palm Beach con la tavoletta da surf e i lunghi capelli biondi e vorrei essere lì con te, stringerti forte, correre insieme e sederci sulla sabbia a guardare il mare.

    Tesoro mio, il mio cuore trabocca di amore, ed è una sensazione infinita, un sentimento puro che non svanirà mai. Tu potrai sempre contare su di me, e non importa quanto saremo lontane, in chilometri o in idee, io per te ci sarò sempre. Sempre. Sempre.

    Ieri mi hai detto: «Non torno più». Tesoro, sei libera di vivere dove sceglierai sapendo che, a qualsiasi ora del giorno e della notte, potrai sempre chiamarmi anche solo per un «ciao, avevo voglia di sentire una voce di casa».

    Cos’è la casa? È quel luogo intimo che esiste nel nostro cuore, quel luogo speciale dove vivono le persone che amiamo e che ci amano. Non è facile essere madre, nessuno mi ha insegnato come fare, lo apprendo strada facendo da voi ragazzi facendo tanti errori ma, credimi, sempre in buona fede.
    Perdonami tesoro per le mie mancanze, per il mio essere quella che sono, a volte sulla luna, a volte su questa terra, per la mia sete insaziabile di conoscere e scrivere la vita, per i miei tentativi di comprendere me stessa.

    A volte mi chiedo se in questa mia corsa io non mi sia persa te… e se così è stato torno subito indietro, riprendo il sentiero che ti vede al mio fianco e ti dico: «Tesoro, io ci sono, perdonami se mi sono persa e dimmi sempre quello che vedi, quello che provi, affinché io possa evitare ulteriori errori».

    Cosa desiderare per il tuo compleanno? Di gioire di ogni minuto della tua esistenza, di non guardarti mai indietro, di conservare il tuo sorriso, la tua bellezza profonda, la tua forza di volontà il tuo cuore grande.
    Io ti auguro una vita strabordante d’amore perché, in definitiva, l’amore è tutto: amore per te stessa, amore per la vita, amore per l’anima gemella che un giorno incontrerai, amore per le lacrime che scolpiranno i tuoi giorni e che ti porteranno sempre avanti. Con il tuo permesso.

    Sii te stessa, tesoro, in ogni circostanza; decidi tu, non permettere che altri scelgano al posto tuo. Genitori compresi. Tu e solo tu puoi ascoltarti e, nel profondo, tu e solo tu sai cosa è bene per te. Io ci sarò sempre, per ascoltarti e mai giudicarti: un ascolto puro fatto d’amore.

    Ti stringo forte forte forte, con l’immenso bene che ti voglio. Buon compleanno amore mio!

  • Affinchè la vita non sia solo lotta

    Hai presente quando metti tutto il tuo denaro in un’attività nella quale credi ciecamente facendoti anche prestare denaro dagli amici che a loro volta credono in te?

    Hai presente la gioia di andare al lavoro con il cuore gonfio di passione? Ricevi commesse, chiami i fornitori, scherzi con i dipendenti e poi via in auto dal tuo cliente più importante che ti ha invitato a pranzo per parlarti di un nuovo affare.

    Ti senti realizzato ed è proprio lì, in quel frangente di esistenza che stai assaporando a grandi sorsi che, all’improvviso, tutto crolla.

    I tuoi beni, casa compresa, vengono messi all’asta, tua moglie non ti rivolge la parola, tuo figlio si vergogna di te, gli “amici” ti evitano tranne quelli che ti chiamano per poi parlottare alle tue spalle, il tuo cane va sotto una macchina e la tua, di macchina, torna alla concessionaria perché non puoi più pagare le rate del leasing.

    Non accetti nulla di tutto ciò, devi resistere e affrontare le battaglie una alla volta e, a tutti i costi, ogni pezzo tornerà al proprio posto.

    Un mattino ti alzi ed esci di casa insieme alla tua angoscia. Hai un appuntamento in banca e, mentre attraversi il parco della tua città, inizia a piovere.

    Ti rifugi sotto una grande quercia, lì l’acqua arriva filtrata dalle braccia dell’albero e tu, con la schiena appoggiata al tronco, mescoli le gocce dei tuoi occhi a quelle del cielo. Si è alzato il vento che schiaffeggia l’acqua contro il tuo viso, ma tu non ci fai caso, sei una statua di marmo che cerca solo di respirare.

     

    Ti accorgi che stai calpestando qualcosa, guardi a terra, è un libro dalla copertina blu. Lo raccogli, lo apri, leggi: “L’amore, la guarigione e un perdono autentico sono ben più semplici del dubbio, della preoccupazione, delle difficoltà di relazione, dei problemi economici, della fatica di capire come riparare tutto quello che si è rotto.

    Lasciar andare è molto più semplice che restare tenacemente attaccati, la fiducia dà molta più forza della resistenza. Il viaggio della vita non dovrebbe essere una lotta”.

    L’ultima frase rimbomba in te con la vertigine di un inaspettato KO, perché la tua vita è solo una lotta, tu devi riparare ciò che si è rotto e non puoi lasciar andare proprio un bel niente o sarai finito!

    Solo un pazzo può aver scritto quelle parole, eppure sei stordito da un minuscolo dubbio che ti si è infilato sotto pelle. “La fiducia dà molta più forza della resistenza”? No! Tu non ti fidi più di nessuno e resistere è l’unico imperativo possibile.

    Ma il dubbio è ancora lì e ti fissa, adesso ha la forma di una carezza che, dolcemente, ti scalda dentro.

    Ricominci a camminare, pioviggina ancora sul tuo viso, sai che in banca ti umilieranno eppure ti senti più leggero. Alzi lo sguardo; una fessura di luce ha spalancato il cielo plumbeo per colpirti con un raggio di sole.

    Sorridi. Lo sai che non ha senso, eppure sorridi, non puoi farne a meno. Nuove lacrime rigano il tuo viso, hanno il sapore della gratitudine e l’enormità di una certezza: non sei solo.

     

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    Questa, però, me la lego al dito (19.11.22) ... leggi

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    Mollo tutto e vado in Nepal. In Vespa (1.10.22) ... leggi

    C'è un silenzio che non è assenza di rumore (24.9.22) ... leggi

    Che fare della vita se ce n'è donato un pezzo? (17.9.22) ... leggi

    Quei conti da pagare, sempre troppo salati (10.9.22) ... leggi

    Gustare la vita fino all'ultimo sorso (3.9.22) ... leggi

    Helena e Carlo: un attimo, sto arrivando (27.8.22) ... leggi

    La gioia di scoprirsi speciali donando amore (20.8.22) ... leggi

    Come trasmutare la debolezza in forza (13.8.22) ... leggi

    La nostra vita è il nostro messaggio (6.8.22) ... leggi

    Quando anche la luna non ha le braccia (30.7.22) ... leggi

    Prima d'entrare nella nostra vita, hanno bussato (23.7.22) ... leggi

    È indispensabile umiliare per correggere? (16.7.22) ... leggi

    La natura commestibile del mondo di Rosalia (9.7.22) ... leggi

    Siamo prede di pensieri distruttivi? (2.7.22) ... leggi

    Tremare per aver intuito il silenzio (25.6.22) ... leggi

    Collezionisti di «giuste cause» di rabbia (18.6.22) ... leggi

    L'amore non si travesta da pretesa (11.6.22) ... leggi

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    La vita non può essere una collezione di tot (28.5.22) ... leggi

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    Vivere anni luce lontano dal cuore  (23.4.22) ... leggi

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    Quando l'invisibile si rende visibile (26.3.22) ... leggi

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    Non nasciamo per morire, ma per rinascere (23.12.21) ... leggi

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    Noi, che allo scoglio urliamo "spostati" (21.11.20) ... leggi

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    Le porte della vita e quella fragola colta nell’erba

    Una goccia pulita da parte di tutti contro la malvagità

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    Mi dica, Signor Ministro, lei ce l’ha, questo coraggio?... leggi tutto

  • bellezzanelquotidiano-ringraziamenti

    RINGRAZIO DI CUORE LE LETTRICI CHE HANNO DESIDERATO
    RINGRAZIARE (Lettere al Direttore) IL DIRETTORE
    DEL GIORNALE DI BRESCIA
    PER "LA BELLEZZA NEL QUOTIDIANO" 
     

    LA BELLEZZA NEL QUOTIDIANO, SEMPRE LA PAROLA GIUSTA (25.8.24)

    CON BIANCA BROTTO RITROVO LA BELLEZZA DELLA QUOTIDIANITA' (2.8.24)

    È sabato, mi aspetta un appuntamento sul Giornale di Brescia quello a pag.7, a volte è a pag.9, dove c’è la “ Bellezza nel Quotidiano” di Bianca Brotto.

    Leggo il suo articolo con il sottile e profondo piacere di incontrare un’anima sensibile che sa scrivere, o meglio descrivere sensazioni, sentimenti ed emozioni che in molti portiamo dentro di noi, ma che spesso, per incapacità o per pigrizia non riusciamo ad esprimere e a condividere con gli altri. 

    A volte ci vergogniamo di far emergere la nostra sensibilità, spesso legata ad episodi del nostro vissuto quotidiano.

    Ed è con questo mio scritto che desidero ringraziare Bianca Brotto : un suo articolo del 1° giugno u.s. dal titolo “ Il forziere dei ricordi felici “mi ha fatto tornare alla mente un bellissimo avvenimento accadutomi qualche anno fa, in un momento per me di grande tristezza, molto vicino a quello da lei raccontato.

    Mia figlia mi ha fatto la sorpresa di mettermi in contatto con la giornalista!

    Risultato….. un incontro , prima via mail e poi telefonico, che mi ha permesso di raccontare la mia esperienza, con accenni al mio vissuto, ad un’Anima che sa ascoltare, capire, elaborare e parlare al cuore.

    Così il 29 giugno u.s. ecco l’articolo  dal titolo “ L’album della Iris e delle carezze”.

    Che dire?

    Grazie Bianca, grazie per la tua capacità nell’inserire le mie parole in uno scritto ricco di riflessioni e di sensibile attenzione all’altro.

    Oggi, sabato 27 luglio, l’articolo di Bianca annuncia una sospensione per un periodo di meritata vacanza e, nel salutare i suoi lettori suggerisce di …

    ... ” farci aiutare tutti dalla Natura, ( dal silenzio, dalla meditazione, dalla preghiera) a spegnere la mente per lasciar affiorare la potenza del nostro essere frangenti d’eternità ,del nostro essere cuore.

    Solo così la “Bellezza Nel Quotidiano” diventerà “Bellezza Nel Nostro Quotidiano”, quello dove i miracoli accadono, quello dove il miracolo siamo noi.”

    Che dire di più?!

    Giuliana Bertoldi Bertola  

     

    3 ottobre 2022
    La mia domenica allietata da due letture sul GDB

    2 febbraio 2022
    Bellezza e speranza grazie alla rubrica di Bianca Brotto
    (Giornale di Brescia, Lettere al Direttore, 2.2.22)

    Leggo con piacere e seguo con apprezzamento la rubrica La Bellezza nel Quotidiano che pubblicate sul giornale.

    Desidero ringraziare Bianca Brotto per quanto comunica con i suoi scritti.

    Lo stile, il modo e la forma sono sempre molto positivi, carichi di bellezza e speranza.

    Il nostro tempo ha bisogno, più che mai, di Bellezza e Speranza. Grazie e complimenti.

    don Piero Minelli Parroco di Quinzano d’Oglio

     

    6 settembre 2021
    A BIANCA BROTTO GRAZIE PER LE PILLOLE DI AMORE PER LA VITA

    (Giornale di Brescia, Lettere al Direttore, 6.9.21)
     
    Ringrazio il direttore del Giornale di Brescia per la pubblicazione settimanale delle pillole di saggia dolcezza della scrittrice Bianca Brotto , che seguo sempre con piacere ed attenzione.

    Le definisco pillole perché sono brevi e profonde, vere, positive, divertenti e universali : ognuno di noi si può specchiare nei diversi personaggi e nelle diverse situazioni con incredibile coinvolgimento.
     
    La scrittrice riesce a mostrarci il bello nelle azioni che quotidianamente compiamo , e che a volte , presi dalla fretta e dalla distrazione , compiamo in modo automatico senza soffermarci ad "annusare" la gioia e il potere positivo di ciò che facciamo.
     
    Trovo che questi scritti siano portatori di gioia e sorrisi per chi li legge , pregni di amore per la vita e per tutto ciò che alla vita...dà vita.
     
    Grazie a Bianca Brottoe grazie al Giornale di Brescia per queste belle pagine che ci accompagnano con vera dolcezza e attenzione.
     
    Elena De Vincenzi
    Brescia
     
     

    18 aprile 2021
    CON LE PAROLE DI BIANCA IN CASA ENTRA ANCHE LA BELLEZZA DELLA VITA

    La ringrazio per aver incluso nel suo giornale la rubrica “La Bellezza nel quotidiano” di Bianca Brotto che ogni settimana ci porta in casa la Bellezza della parola e della vita.
     
    Mai come in questo periodo storico la comunità ha bisogno di ritrovare fonti interiori di fiducia, speranza e serenità.

    In quanto psicologa riconosco l’utilità e la necessità di comunicare emozioni e di ispirare le persone attraverso immagini, intuizioni, racconti e, personalmente, ritrovo ogni settimana spunti di questo genere negli scritti di Bianca Brotto.
     
    In particolare nel leggere il pezzo di sabato scorso “Arrendersi a quel che comunque arriva”, una strana bellezza è arrivata al mio cuore: la Bellezza della Verità.
     
     
    Questa Bellezza ha sfiorato il mio volto con delicatezza e l’ha girato nella direzione in cui avrei da sempre dovuto andare, se solo l’avessi scelto.
     
    Ma io non sceglievo, Direttore, non sceglievo per paura e, così facendo, mi condannavo ad una vita colma di paura.
     
    Poi ho letto la storia di Anna e qualcosa è esploso dentro di me facendomi, forse, arrivare al magico punto di “fine corsa”.
     
    Nel leggere l’articolo, infatti, il mio treno ha subito un brusco arresto e tutto d’un tratto mi sono accorta di aver sprecato tempo prezioso di vita, di aver rinunciato a tanto amore e di essermi crogiolata per anni nella gioia inespressa.
     
    Ho poi osservato ciò che mi aveva reso “viva” e “felice” e che avevo perso, ho chiaramente visto gli errori commessi e, finalmente, li ho accettati con la resa onorevole e incondizionata del guerriero che ha dato tutto se stesso.
     
    Spero un giorno di riuscire ad arrivare dov’è arrivata Anna affinché il dolore vivo e pungente che, talvolta, ancora riesce a togliermi il respiro, possa rappresentare il mio più grande alleato per una vera rinascita.
     
    Grazie ancora Direttore, il suo giornale è una preziosa fabbrica di parole che, quando scritte per mano di persone come Bianca Brotto che affidano la propria penna ad un volere superiore, toccano in profondità i cuori di chi le legge.

    Luisa Poli
    Salò


    31.3.21
    IL BELLO E IL BUONO FANNO BENE ANCHE A CHI LEGGE


    Sento il bisogno di ringraziare la Signora Bianca Brotto per il suo contributo settimanale, almeno per due motivi:
    - la scrittura lieve, poetica, precisa e
    - la positività del messaggio che porta.


    Di questi tempi non è poco e non è facile.

    Siamo tutti portati al lamento, alla critica a destra e a manca, al pessimismo, al pensiero negativo, e poter leggere una bella pagina, ricca di serenità e di spinta verso l’Alto, è davvero un ristoro per l’anima.

    Grazie, Signora Brotto, per il dono che ci fa.
     
    Quando vedo il suo nome sono subito bendisposta alla lettura, perché so di mettermi in ascolto di una persona interiormente ricca, che crede in quanto scrive perché lo vive.

    Immagino che la vita non l’avrà sempre risparmiata, ma lei non si sente in dovere di scaricare i suoi crucci sugli altri, preferisce regalare messaggi che aiutino a sorridere e sperare.

    Io benedico persone come lei e mi auguro che crescano di numero perché sempre, ma soprattutto oggi, il mondo ne ha grande bisogno.

     

     

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  • bellezzanelquotidiano1

    LA LEZIONE DELL'ANATRA 

    Ho incontrato un’anatra che mi ha spiegato la vita.

    Era un germano dal collo verde smeraldo, il becco giallo e le ali screziate sulle tonalità del marrone. L’anatra si trovava all’interno di un cancello confinante con la spiaggia e quando il mio cane, passandole davanti, l’ha vista, lei ha iniziato ad agitarsi nonostante non avesse di che temere trovandosi al sicuro all’interno della recinzione.

    Il mio pastore tedesco,che non vuole azzannare ma solo rincorrere, balzava avanti e indietro con l’intento di far volare l’anatra verso il lago e galoppare al di sotto della traiettoria alata.

    Il germano, al di là della rete, ha iniziato a preoccuparsi e a zampettare muovendosi a zig zag, il cane a saltare, il germano a starnazzare nonostante, lo ripeto, fosse già al sicuro nella proprietà che lo ospitava.

    Poi è successo l’imprevedibile: la bestiola in panico, invece che volare, si è diretta verso la recinzione riuscendo, strisciando, ad infilarsi sotto il cancello proprio dove il cane la stava aspettando.

    Il pastore tedesco si è quindi trovato a sorpresa il pennuto fra le zampe, ma non ha fatto nulla perché l’anitra camminava appena e lui ama la corsa. La poveretta, con il cuore a mille, si è diretta svelta verso l’acqua, mentre il cane mi guardava immobile e sorpreso per quel finale inaspettato.

    Mi spiace che il germano se la sia vista brutta e che non abbia spiccato il volo, ma quel che è successo è stata una lezione di vita: l’anatra ha fatto un gran cancan e, a causa della propria ansia, ha agito d’impulso buttandosi volontariamente fra le zampe del cane, rischiando la morte.

    Lo stesso accade a noi che siamo già al sicuro fra le braccia della Vita (o come desideriamo chiamarla, Padre, Dio, Amore…) ma che, quando ce ne dimentichiamo, ci agitiamo e facciamo le sciocchezze più assurde, come buttarci nelle fauci dello spaventatore e, sia che esso sia una persona o una situazione, ci roviniamo con le nostre stesse mani o zampe.

    È una slavina inevitabile, dove c’è paura non c’è Fede-Fiducia-Amore e possiamo solo finire fra le grinfie di chi o cosa ci tiene in scacco con l’arma del terrore. Ma la tranquillità di essere fra le braccia dell’amore, “figli dell’immensità”, come cantava Lucio Battisti, è il dono e lo strumento più potente che ci sia e l’abbiamo tutti come diritto di nascita.

    Noi siamo già al sicuro. E doveva venire un’anatra a dircelo?

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    31 ottobre 2020
    #GiornaleDiBrescia

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  • bellezzanelquotidiano10

    FAR DEI GIORNI A VENIRE UN CAPOLAVORO DEL CUORE

    Quest’anno è iniziato con un incontro bellissimo: Chiara Lubich, una ragazza che ha fatto di ogni suo giorno, un capolavoro. È successo domenica scorsa guardando su RAI 1 il film sulla sua vita ambientato a Trento durante la seconda guerra mondiale, quando la città era bombardata dagli alleati e violentemente occupata dalle truppe naziste.

    La giovane Chiara insegnava alle elementari e studiava filosofia, ma quello che la rendeva straordinaria era il suo cuore, l’ascolto che ne faceva e il coraggio infinito che da quell’ascolto scaturiva.

    Mi sono interrogata sulla parola ‘coraggio’ che viene da ‘cor habeo’, ‘avere cuore’ e sul suo contrario, la paura, e mi sono chiesta: che si abbia paura quando non si è nel cuore? La dimostrazione vivente l’ho trovata nella ventitreenne Chiara che, fra morti, violenze e case sventrate, infiammata d’amore per Gesù, non ha avuto paura.

    E noi? In questo inizio anno vogliamo riflettere su come fare dei giorni a venire il nostro capolavoro del cuore?

    Dopo tutto se siamo vivi è perché abbiamo ancora qualche carta da giocarci e, per farlo, non è necessario avere un progetto ben delineato, nemmeno la Lubich lo aveva; lei voleva solo rispondere al dolore della guerra cercando di essere d’aiuto a più persone possibili e, semplicemente, faceva per tutti quel che noi facciamo per coloro che amiamo.

    Mi è piaciuto sentirla dire, in un’intervista, che molti uomini non vivono perché non vedono, e non vedono perché guardano al mondo con i loro occhi invece che con l’occhio di Dio.

    Lei, grazie a quello sguardo divino, percepiva il misterioso legame che unisce uomini e cose e, fra paura (buio) e amore (luce), le forze che governano l’umanità, si era abbandonata totalmente all’amore facendosi strumento di luce nelle mani di Dio.

    Nel film, poi, ci sono due frasi dalla potenza dirompente; una è verso la fine quando suo fratello, ex partigiano, si trova davanti l'uomo che l’ha fatto torturare e Chiara dice: “Decidi tu cosa fare di lui. Ricordati che non c’è futuro senza perdono”.

    L’altra viene pronunciata in un momento difficile quando un’amica afferma: “Non c’è rosa senza spina” e Chiara risponde: “Non c’è spina senza rosa”, come a dire che su ogni lacrima fiorisce un sorriso nuovo, quando ci si arrende fiduciosi all’amore.

    E allora sorrido. Sorrido a quella luce indomabile che tutti abbiamo nel cuore quando siamo innamorati e non vediamo vette irraggiungibili, ma solo montagne mai troppo alte da scalare, e sorrido al 2021 che sarà l’anno dell’amore se, come Chiara, guarderemo ogni persona con l’occhio di Dio o, se non crediamo in Dio, con l’occhio dell’amore.

    Il risultato lo vedremo dai frutti che il nostro albero produrrà; se da quella ragazza trentina che nel ’43 distribuiva cibo e vestiti è nato il Movimento dei Focolari presente in 182 paesi, cosa nascerà da ognuno di noi?

    Intanto che turbati pensiamo ai problemi del mondo, mi piace immaginarci mentre riconosciamo il buio della nostra paura e lasciamo che la Luce di questa consapevolezza lo dissipi.

    Non siamo soli, nessuno di noi lo è e comunque, se dovessimo sentirci persi, ricordiamoci che fra il dire e il fare c’è di mezzo… l’incominciare a fare, di ogni giorno, un’opera d’arte.

     

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    #9 gennaio 2021
    #GiornaleDiBrescia
     

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  • bellezzanelquotidiano100

    EREDITARE LA RICETTA DELLA FELICITA'

    Non è stato un incontro diretto il mio con il Re del Po, ma filtrato dalle parole di chi ha visitato il suo Regno e toccato con mano l'arma più potente che esista sulla terra: l'animo umano in preda all’entusiasmo (Foch). 

    L’autoproclamatosi Re, mancato quest’estate a 79 anni, è Alberto Manotti e l’eredità che ci lascia è frutto della sua energia esplosiva che contagiava chiunque gli si avvicinasse.

    Da quasi mezzo secolo Alberto viveva tête-à-tête con il Grande Fiume, recuperando ogni giorno i rami che arrivavano e utilizzandoli per costruire, lungo le sponde in prossimità del ponte di Boretto (Reggio Emilia), intricati rifugi diventati negli anni una sorta di imbarcazione lunga 40 metri e alta 6: Nave Jolanda. 

    Vista da lontano la gigantesca struttura è simile a una manciata di shangai lasciati andare sul terreno, ma avvicinandosi si ammira un intreccio ingegneristico di rami e tronchi che Alberto raccoglieva sul letto del fiume, si caricava in spalla e avvinghiava prontamente gli uni agli altri «perché le cose vanno fatte subito!» diceva. Il risultato è un’opera che trasuda amore e ostinazione.

    Forse era scritto che un corso d’acqua che nasce al Pian del Re dovesse averlo un proprio Re, un uomo libero e instancabile che portasse avanti una costruzione che le piene danneggiavano e che il sovrano non si stancava di ricostruire, perché quella nave conteneva una ricetta di felicità che lui così sintetizzava:

    «Ci sono persone che hanno soldi, macchine e ville costose e nonostante tutto sono sempre tristi. Lo sai invece perché io, che non ho niente, sono così felice? Perché ho il fiume Po, ho la natura, ho i bimbi che sono una fonte di energia enorme e ho il tempo che mette a posto tutto».

    Questa è l’eredità che ci lascia Alberto, e noi? Che eredità stiamo costruendo?

    Il nostro lascito è ciò che resta nel cuore di chi incontriamo. Osserviamoci: sono spiacevolezze o sorrisi? Sopportiamo i minuti o raccogliamo ogni rametto trasportato dal flusso dell’esistenza per assemblarlo nella costruzione del capolavoro di ogni giorno? 

    Questa settimana festeggio il mio compleanno e l’articolo numero 100 di questa Rubrica, il che è un fatto curioso perché io, di questi 100 articoli, non ne ho scritto nemmeno uno; ho solo prestato le dita a parole già ‘scritte’ altrove e le ho raccolte in un libretto intitolato ‘La Bellezza Nel Quotidiano’, non per la presunzione di aver composto pezzi meritevoli,

    ma per testimoniare il mio essermi resa piccolo strumento al servizio della vita; ho avvitato un paio di legnetti, diciamo, catturando parole che mi attraversavano quando il fiume si gonfiava e imprimendole su carta prima che la piena del quotidiano se le portasse via. 

    Dal Manotti ho imparato che siamo tutti sovrani dei rami che ci ritroviamo fra le mani, che il cosa farne dipende da noi e che quando gli imprevisti ci devastano allagandoci pelle e cuore, possiamo rialzarci e fra lacrime, chiodi e fiducia ripartire,

    perché il fiume della vita non ha mai smesso di scorrerci dentro e con lui la Bellezza Nel Quotidiano che scegliamo di vedere con la stessa indomabile e selvaggia perseveranza di chi sa scorgere in un legnetto un pezzo di nave. Un pezzo di sé.

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    #15ottobre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano101

    SE L'AMICIZIA MUTA IN ASSORDANTE TACERE

    «Non mi parla più, Paola, ed era la mia miglior amica. Ricordi? C’era il rito della colazione al nostro bar preferito, quell’inoltrarci fra le pareti più intime del nostro sentire e quelle risate di gusto fra chi si accetta e mai giudica.

    Profondità e leggerezza ci accompagnavano insieme alla sensazione di poterci dire qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Adesso che lei è sparita ho freddo. Dentro». Marina è un guerriero di luce disarmato.

    «Cosa è successo?» chiedo.

    «È assurdo! - Esclama con veemenza - Con lei un bel niente! C’è stata un’incomprensione fra me e un amico comune (con il quale mi sono chiarita e scusata), ma non con Paola».

    «Sembra impossibile» commento.

    «Anche a me! Non sai quante volte gliel’ho chiesto e lei? Tace. Le ho anche scritto messaggi accorati implorando una spiegazione. Zero al quoto».

    «Se qualcuno dovesse averle riferito ‘cosacce’ su di te, perché non te ne parla?»

    «Esatto. Perché?» Marina scuote la testa.

    «Forse la strada che insieme dovevate percorrere è finita» bisbiglio.

    «E chi l’ha detto?»

    «Il suo comportamento! C’è chi parla con il proprio tacere.D’altronde affrontare di petto un problema non è da tutti perché costringe a guardarsi dentro e a sentire quel dolore,

    mentre il silenzio è una coperta soffice che avvolge e attutisce l’intera situazione rendendola più sopportabile».

    «Poi il tempo passa e quel ‘per ora’ si allunga nei mesi e, talvolta, nel per sempre» commenta Marina.

    «Già, ma va capita anche Paola. Tu cerchi di sbrogliare i guai man mano spuntano ma, lasciatelo dire, una come te può anche dar fastidio;

    non sempre, infatti, si ha voglia di persone che ci mostrino il loro sapersi destreggiare nelle varie situazioni, soprattutto quando noi non ce la facciamo e siamo paralizzati.

    In definitiva, la tua felicità può dar fastidio».

    «Come se io di rogne non ne avessi» conclude Marina senza notare che, forse, la vita per tramite dell’amica le sta dicendo: Guardati dentro! “Sono con te le cose da cui cerchi di fuggire (Seneca)”.

    È umanamente comprensibile e più facile accusare qualcuno e vedere in lui/lei la radice del nostro star male (la pagliuzza nell’occhio altrui è ben più visibile del nostro trave), ma sarà quando noteremo che la tristezza è in noi e non eleggeremo più capri espiatori che il confronto si sposterà laddove abitano le vere risposte: dentro di noi.

    Se Paola riuscisse a verbalizzare ciò che la disturba, riuscirebbe a comprendere molte altre cose di sé che, pur dolorose da scoprire, la porterebbero avanti nella scuola della vita. Idem Marina che potrebbe spostare il focus al suo interno. 

    La bella notizia è che entrambe possono comunque continuare a volersi bene in quell’angolo di cuore dove la separazione non esiste e lo stesso possiamo fare noi con chi ci ha ferito, perché se amiamo a condizione di essere ricambiati, non siamo cuori, ma calcolatori del “Ti voglio bene finché il bilancio è in pareggio”.

    Domanda: l’essere umano è capace di sentimenti incondizionati o siamo tutti ragionieri ripetenti alla scuola della vita? Mentre ci si allungano le orecchie, la speranza ci sorride sussurrandoci: dài che esistono gli esami a settembre, mal che vada recuperi!

     

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    #22ottobre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano102

    IL CERCHIO DELLA VITA IN UN BOUQUET DI ROSE

    Oggi ho bisogno di un abbraccio d’eternità che faccia risuonare in me la prova della vita che continua. Per questo racconto di un bouquet improbabile di rose rosse contornate da fiorellini bianchi. 

    La storia inizia sul sagrato di una chiesa, dove uno sposo sorridente consegna ad una sposa radiosa un bouquet molto discusso, da lui personalmente scelto, di rose rosso fuoco attorniate dai fiori bianchi del velo da sposa.

    La scelta del colore troppo vivace delle rose, in luogo delle tinte pastello più comunemente usate, viene ampiamente criticata, ma Chicco sorride sicuro che alla sua Giò quel bouquet piacerà. Non solo.

    Ha messo rose rosse e fiorellini bianchi anche nel vano porta radio della Citroen Ds Pallas a bordo della quale partiranno. E nei capelli di lei.

    Da quel giorno la clessidra ha osservato fluire migliaia di granelli di sabbia, nascere due bimbe deliziose e, cinque anni fa, ha anche visto Giò valicare anzitempo la porta del “paese sconosciuto da cui nessun viaggiatore è tornato” (Shakespeare).

    È sera. All’indomani la coppia avrebbe festeggiato l’anniversario di nozze.

    Chicco ripensa a quel bouquet che lei adorava, mentre una lacrima si mesce al desiderio di portargliene uno al cimitero composto da solo tre rose rosse: una da parte sua e una da parte delle due ragazze.

    Il mattino successivo, prima di andare al lavoro, Chicco va da lei, vuole ringraziarla per quel tratto di strada che insieme hanno percorso e per quelle meravigliose figlie.

    Difronte al cimitero c’è un fiorista dello Sri Lanka che ha mazzi di crisantemi, gerbere e margherite.

    Sconsolato Chicco si avvicina pensando: “Impossibile qui ricostruire il mio bouquet”. Sorridente gli si avvicina il cingalese: “Vuoi fiori da regalare?”.

    “Questo è fuori - pensa Chicco - da quando in quando uno va al cimitero a comprare fiori da regalare”. «No, li voglio portare su una tomba - risponde - ma c’è un vasetto piccolo» dice mostrando con le mani un mini rettangolo. 

    L’uomo risponde sicuro: «Allora ti do tre rose». Chicco lo guarda sbalordito mentre il cingalese scompare nel chiosco e ricompare con tre rose rosse. «Aspetta - gli dice mentre entra nuovamente nel negozietto ed esce con i fiorellini bianchi del velo da sposa - Ecco, così va bene» conclude mentre compone e incarta il bouquet per Giò.

    Chicco è in subbuglio, “quindi ci hai pensato tu stavolta ai fiori!” pensa mentre si allontana con il mini bouquet in mano e un groviglio di emozioni nel cuore che si fanno umidi sorrisi nel percepire chiaro l’innesto dell’aldilà nell’aldiquà.

    “Non esiste la separazione - riflette mentre sistema i fiori sulla tomba - io sono solo nella stanza accanto (Holland)”.

    Oggi voglio guardare a quella grande porta che tutti ci aspetta come ad un varco luminoso dal quale fuoriesce un fascio d’amore e immaginarci tutti lì, sull’uscio, ad occuparci delle cose di qui, ma avvolti dall’abbraccio di luce che scioglie il gelo dei nostri cuori intimoriti e illusi di essere separati. 

    Prima che gli ultimi respiri si riempiano di rimpianti, perché non provare a vivere meno di testa e più di cuore? Mentre la sabbia scende ancora nella nostra clessidra, non è mai troppo tardi per mettere l’amore al primo posto.

     

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    #29ottobre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano103

    IL POTERE ATTIVO E AUTUNNALE DELL'AMORE

    È una morsa, a volte un cappio, la notte della solitudine, quando credi di non farcela e la mente ti assale, stringe e non molla; pensi e ripensi ma, ovunque vaghi, non scorgi via d’uscita perché tutte le porte sono bloccate dalla stessa parola-spranga: solitudine.

    Cosa ci fa paura, in realtà? La solitudine dell’incontro con le nostre profondità perché “se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te” (Nietzsche) o l’isolamento di quando siamo fisicamente disgiunti dagli altri?

    Esiste davvero la separazione o è un’illusione? “Non è un’illusione” afferma la mente, “Sì che lo è” sussurra il cuore.

    Il modo per superare il senso di isolamento dato dalla separazione che il nostro corpo fisico percepisce come reale, secondo Erich Fromm, è l'amore che lo psicologo e filosofo tedesco definisce come potere attivo che annulla le pareti che ci separano dai nostri simili e che tuttavia ci permette di essere noi stessi e di conservare la nostra integrità. 

    Mi guardo attorno alla ricerca di questo potere attivo e allargo lo sguardo all’alba del nuovo giorno che pennella il cielo di rosa per poi tingerlo ancora in un crescendo infuocato fino allo scoppio finale, l’oro del sole,

    il potere attivo che cambia i connotati del mondo e di ognuno di noi nel suo far virare la notte buia della solitudine, nella luce del nuovo giorno adorno di speranza. 

    Cielo e sole sono sempre lì, la difficoltà sta nella decodifica del linguaggio, immediata fra simili, ma non fra uomo e natura;

    se infatti è un albero ad abbracciarci con le sue fronde o un mare con le sue acque, sulle prime fatichiamo a percepirne il beneficio interiore perché la comunicazione è non verbale ma, ’sulle seconde’,mentre i 5 sensi vagano ancora distratti dalla mente, il cuore batte i suoi rintocchi in perfetta armonia con l’universo donandoci una piacevole sensazione di pace.

    Nel film Mister Morgan Michael Caine, rimasto vedovo, alla domanda sul perché lui abbia smesso di amare la vita, risponde: «Se perdi questa persona credi che tutto il resto si fermerà con lei, ma tutto il resto invece va avanti lo stesso. Jirodo diceva: puoi sentire la mancanza di un’unica persona anche se ne hai intorno tante altre inutili.

    Queste persone sono una nuvola, degli estranei che ti annebbiano la vista, sono una folla senza senso. Sono come un’inutile distrazione. Così tu cerchi l'oblio nella solitudine. Ma la solitudine ti fa solamente appassire».

    E se questa ‘folla senza senso’ contenesse la via d’uscita al nostro inquieto vagare e lo star male nella solitudine servisse a farci vedere che ci stiamo facendo cattiva compagnia?

    È ancora autunno, le foglie cadono insieme ai dolori, ai rancori e a tutto il seccume che non serve più né all’albero né a noi.

    Quel che ancora conta resta in piedi nel tronco, dove scorre il potere attivo dell’amore, l’unico in grado di trasmutare ogni istante in uno scoppio di sole.

    “Verrà un giorno in cui l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza: a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo.L’uomo non ha limiti e, quando se ne renderà conto, sarà libero anche qui, in questo mondo (Giordano Bruno).”

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    #5novembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano104

    TI PREGO NON ANDARTENE. NON STANOTTE

    Questa è la storia di due gemelli che avevano deciso di incontrarsi una sola volta all’anno, e di quell’indimenticabile 7 febbraio.

    Breve excursus storico: portati a Roma all’età di 12 anni per studiare (siamo nel 492 d.C.), i due fratelli videro la corruzione e la depravazione di quell’epoca successiva alla caduta dell’impero romano e, in seguito, decisero di ritirarsi dal mondo:

    Benedetto visse alcuni anni da eremita e poi fondò l’Ordine dei Benedettini basato sulla ‘Sancta Regula' da lui stesso scritta e Scolastica, fattasi monaca, fondò il Monastero di Piumarola dove diede inizio all’Ordine Benedettino femminile.

    Quel 7 febbraio del 547, giorno del loro incontro annuale in una casetta di Montecassino che si trovava a metà strada tra i loro due monasteri, Benedetto e Scolastica trascorsero la giornata a parlare di Dio e degli uomini nutrendosi della reciproca compagnia finché venne, insieme al tramonto, il momento di separarsi.

    Benedetto si alzò per salutare la sorella, ma Scolastica reagì in modo del tutto inaspettato implorando il fratello di non andarsene. Non quella notte. 

    Benedetto le disse di non potersi fermarsi, la sua Regola glielo imponeva. Scolastica scoppiò a piangere; aveva bisogno che quel colloquio spirituale non finisse, non quella sera, e pregò Dio con ardore affinché il fratello non partisse.

    In quel momento scoppiò un temporale furibondo che costrinse il monaco a fermarsi fino al mattino successivo.

    Disse Benedetto: “Poté di più colei che più amò”. Il loro dialogo proseguì quindi a oltranza lungo le pieghe della notte.

    Fu il loro ultimo incontro.

    Tre giorni dopo Benedetto vide l’anima di Scolastica salire verso il cielo sotto forma di una colomba e il 21 marzo, a sei settimane di distanza dalla sorella, giunse anche per lui il momento di lasciare il corpo.

    Ci sono persone che percepiscono la sacralità di momenti che diventano ‘ultime volte’ e la necessità di fermarsi per stare lì, immersi in quel frangente di vita che diventerà uno spartiacque fra il prima e il dopo quell’istante.

    Per lo più, tuttavia, non facciamo che correre da un impegno all’altro. Per andare dove, mi chiedo? Le risposte piovono e sono tutte di ordine pratico, ma la domanda resta: per andare dove? 

    Il mio amico Antonio se ne è appena andato crollando di colpo a terra come un fantoccio snodato al quale il burattinaio recide il filo e in me restano le sue parole di pochi giorni fa quando, in risposta a una candela accesa per sostenerlo nella quotidianità, mi scrisse:

    “La tua Luce è continua, persistente e risuonante come una preghiera rivolta Là dove si reggono le fila di noi piccole marionette alle quali basta un niente per rompere il filo che ci farebbe accasciare prive di vita”. 

    Hai ragione, Antonio, basta un niente. Ricordiamocelo quando ci viene in mente qualcuno da chiamare, quando regaliamo energie alla rabbia, quando abbiamo tutto noi da fare, “poiché - ci ricorda Gibran - la vita procede e non s'attarda su ieri”. 

    Che il nostro essere appesi a un filo diventi un quotidiano brindisi a chi è già tornato a Casa e a noi che siamo ancora qui a giocarci la partita del mondo, una finale di coppa che ci chiede sempre e solo un unico goal: portare il nostro amore nel mondo.

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    #12novembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano105

    QUESTA, PERO', ME LA LEGO AL DITO

    Non c’entra la statura, ma quello che uno ha all’interno di quel metro e cinquantotto di biologia umana, perché se lì dentro si annidano nugoli di esperienze catalogate come sconfitte, il bisogno inconscio di utilizzare un ruolo per sfogare le proprie frustrazioni, diventa incontenibile.

    Ed eccoci in quinta liceo alle prese con una ragazza che per la profe Tarlo ha due colpe gravi da scontare: essere nata alta e bella. Non solo.

    A volte l’adolescente, nella sua spontaneità, fa tremende gaffe, come quando riferisce all’insegnante, che di figli non ne ha, la frase pronunciata dalla vecchia maestra delle elementari in punto di morte

    “L’esistenza acquisisce il suo pieno significato nella procreazione” o quando, a teatro, chiede alla profe, seduta dietro una poltrona vuota occupata dai cappotti:«Ci vede?»

    suscitando nella donnina l’indignata risposta: «Va bene che sono bassa, ma non esageriamo! Questa me la lego al dito». 

    A parte il fatto che ogni vita è perfetta sia con sia senza figli, la profe Tarlo, che di tarli ne aveva (come tutti del resto), patì le ‘uscite' della ragazza come lamette dolorose che le tagliuzzavano il suo proverbiale sorrisetto immobile, grondante vendetta.

    Ed eccoci al dito. 

    Esame di maturità.

    Claudia ha fatto arrivare da Firenze un testo antico sul Sommo Poeta per arricchire la sua tesina di contenuti inediti ma, prima dell’interrogazione, la Tarlo,

    facendo il gesto del filo annodato all’indice, le dice con ghigno sadico: «È arrivato il tuo turno».

    La ragazza entra e inizia l’esposizione ma, dopo poco, la profe la interrompe: «Claudia, proprio non ci siamo».

    La giovane va in panico e si ritrova in una battaglia ad armi impari nella quale il sadismo della donna le si riversa addosso in un‘interrogazione mitraglia foriera di una raffica di incubi notturni che la perseguiteranno per anni.

    Sono in molti gli studenti che hanno subito angherie da parte di insegnanti ‘non risolti’, ma che dire della meraviglia di veri maestri entrati con cuore aperto e matita verde nelle esistenze altrui regalando, come ci racconta Milena Maggio, sostegno per la vita?

    “Mia madre faceva la maestra. La ricordo di sera, dopo cena, china sullo stesso tavolo dove poco prima c’erano i piatti, a correggere i compiti dei suoi alunni.

    Non usava la penna rossa per evidenziare gli errori, li sottolineava invece con un pastello verde chiaro, come le prime timide foglie di primavera. Una di quelle sere che non avevo sonno e mi piaceva starle accanto a leggere Topolino, le chiesi perché quel colore invece del rosso che usavano tutte le altre maestre.

    Mi rispose senza alzare la testa da quei fogli: “È che nelle cose degli altri devi entrarci in punta di piedi, specialmente quando hai il compito di correggerne gli errori. Il rosso è un urlo, un’accusa alla quale non si può replicare. Dice ‘Tu hai sbagliato!’ con il dito puntato contro.

    Il verde è gentile, come una piantina che cresce e per farlo ha bisogno di sostegno. Il verde non demolisce, sostiene”. 

    Essere frecce che feriscono o rami che sostengono è una scelta cromatica quotidiana che si rinnova ogni volta che impugniamo una matita, un commento, un sorriso. Persino un pensiero.

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    #19novembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano106

    SIAMO PIU' TENACI DI QUANTO PENSIAMO

    La porta dello psicologo è spalancata quando sull’uscio compare una titubante biondina con la gonna corta e il sospetto addosso. L’uomo si alza dalla scrivania per andarle incontro con un sorriso che si fa spazio fra i peli ordinati della barba solo in apparenza incolta.

    «Si sieda» le dice mentre chiude la porta.

    Lisa si gira sulla difensiva con le braccia conserte: «Non mi va di stendermi».

    «Ho detto si sieda» afferma lui accomodante e ben accomodato in un impeccabile abito grigio scuro con cravatta blu. 

    «Come mai è qui?» esordisce lo psicoterapeuta.

    «Beh, di recente… sembra… - balbetta la ragazza prima che la pentola a pressione che le bolle dentro emetta il fischio finale - scusi, vado via perché questa è una cosa stupida - si alza - non che questa sia una cosa stupida ma, volevo dire - si allontana sulle spine - grazie della comprensione - conclude scappando verso la porta e aprendola con un sospiro di sollievo.

    Poi si volta - Senta, posso farle solo una domanda stupida?»

    «Non sono mai stupide» ribatte lui tranquillo mentre lei continua: «Mi stavo chiedendo se esista una cosa in generale che per lei negli anni si è rivelata vera per aiutare chiunque, in qualunque situazione».

    «Sì, io direi: capisci quello che vuoi e impara a chiederlo apertamente».

    Questa scena del film “Come lo sai” si chiude con le parole di Lisa: «Sono due cose molto difficili» e quelle del terapeuta: «Sì, ma lei è venuta qui ed è stato difficile, e se ne va subito, anche questo è difficile, quindi è più tenace di quanto non pensi adesso». 

    La commedia non mi ha colpito, ma il fatto che lui veda coraggio laddove lei percepisce debolezza, sì.

    Che sia questo il punto? Saper vedere l’altro lato della medaglia?

    In ogni apparente sconfitta della nostra persona/maschera si nasconde sempre un trionfo, su un altro piano, e forse è proprio per cogliere questa dimensione di ‘vittoria’ che è importante imparare a ‘soccombere’. 

    Se stiamo parlando di due facce della stessa medaglia, infatti, chi vince e chi perde? Il valore di una moneta non cambia se la usiamo da un lato o dall’altro, ma l’intera esistenza si rivoluziona quando percepiamo che dietro ogni fragilità esiste un punto di forza. E viceversa.

    La scelta quotidiana fra auto-flagellarci di giudizi o ricoprirci di complimenti è il crinale che delimita la conclusione emotiva di Lisa (e di ognuno di noi): “Ho fallito dallo psicologo” o “Che fegato ho avuto ad affrontarlo”. 

    Il fatto che la meccanica quantistica, con l’esperimento della doppia fenditura, abbia dimostrato che non esiste una realtà oggettiva perché gli elettroni si comportano diversamente a seconda che vengano o meno osservati, spalanca nuovi orizzonti

    e ci mostra come la linea di demarcazione, tra un versante e l’altro di ogni evento, stia nei nostri occhi o, meglio, nella Consapevolezza Regista della nostra telecamera oculare che inquadra le scene quotidiane. 

     Come "un albero (quantistico) che cade nella foresta fa un rumore diverso a seconda di chi lo ascolta e di come lo ascolta”, allo stesso modo la nostra vita sarà melodia o baccano e noi direttori d’orchestra o esasperati fuggiaschi.

    Di certo, al pari di Lisa, siamo più tenaci di quanto pensiamo. Quindi, che musica sia!

      

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    #26novembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano107

    LA FATICA DI GODERE DI CIO' CHE SI HA

    La Gilda di soldi non ne ha mai sprecati e non solo perché guadagnarli costa fatica, ma anche perché vanno accantonati per la vecchiaia quando la salute zoppicherà e «ci sarà anche - dice - da pagare il funerale».

    Ha da 60 anni nel cassettone del soggiorno di rappresentanza, il servizio di piatti che le hanno regalato quando si è sposata con Piero: «Un servizio da 12» afferma compiaciuta mentre spolvera la mercanzia intonsa a fiori rossi e blu.

    «Perché non lo usi?» chiedo.

    «È troppo bello - esclama d’impeto - non voglio rischiare di rompere qualcosa». 

    Nello stesso mobile c’è una tovaglia di lino ricamata a mano ricevuta in dote da sua nonna; giace avvolta in fogli di carta di riso all’interno di una scatola bianca. Mai mani di donna l’hanno fatta volare lungo i fianchi di una tavola imbandita, mai gocce di uno sfrontato calice di rosso l’hanno baciata.

    Nella vetrinetta si ergono fieri i fluite di cristallo che da 12 lustri la Gilda spolvera con costante dedizione e che mai hanno provato l’ebbrezza di un allegro brindisi. 

    60 anni di pranzi e cene consumati su piatti anonimi e tovaglie stinte passano in un lampo e adesso che Gilda e Piero portano magnificamente gli acciacchi dei loro 80 anni, festeggiano le nozze di diamante concedendosi un regalo d’eccezione: una nuova doccia. Detto fatto l’investimento viene approvato dal tesoriere (la Gilda). 

    «Non capisco perché cambiarla, la vasca, che va ancor benissimo» aveva commentato con il preventivo in mano da 5000 € Piero che, nonostante rappresentasse il 50% della coppia, era in netta minoranza.

    E quando l’uomo aveva rimarcato che da basso, nel locale caldaia, loro una piccola doccia già ce l’avevano, Gilda aveva affermato perentoria: «Vuoi mettere la comodità di non dover scavalcare il bordo della vasca?» e la doccia di nuova generazione, con tanto di seggiolino, spruzzi laterali, getti regolabili e tappetino antiscivolo, era approdata fiammante nel loro bagno. 

    Da quel giorno sono passate 5 estati e questa settimana la coppia ha festeggiato 85 anni di età anagrafica, 65 di matrimonio e 5 del nuovo sanitario che, con il cristallo sfavillante e il seggiolino immacolato, viene mostrato a chiunque transiti da quella casa. L’anziana lo spolvera ogni mattina e non l’ha mai usato per non sporcarlo.

    «Dopo tutto - ammette - Piero aveva ragione: la doccia giù da basso si può usare benissimo perché anche se si allaga la stanza, c’è la piletta che porta via l’acqua».

    Perché, mi chiedo, talvolta facciamo così fatica a volerci bene e a godere di ciò che abbiamo?

    È come se non meritassimo di essere felici, come se fossimo inseguiti dai sensi di colpa, come se gli altri godessero del diritto di precedenza e noi restassimo fermi allo stop in attesa di essere smossi dal clacson “Amati!” che ci risvegli al nostro Essere degni di tutto l’Amore che c’è. 

    Ogni volta che temiamo di essere egoisti, ricordiamoci che se non riusciremo a prenderci cura di noi, non potremo nemmeno voler bene gli altri.

    Mentre stiamo scivolando verso la fine dell’anno, facciamoci una carezza e godiamo del tenero tocco, perché non è mai troppo tardi per scegliere di amarci. Amarci davvero.

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    #3dicembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano108

    A NATALE PALLA ROSSA DEL CUORE A CENTROCAMPO 

    Natale si stava avvicinando e mentre le vetrine lo mostravano sfacciatamente, Fabio avrebbe voluto coniare una nuova parolaccia quotidiana o una scusa per non viverlo mai, quell’Avvento. Perché sarebbe stato l’ultimo. L’ultimo in quella casa. L’ultimo da uomo sposato.

    Quel suo essere in procinto di recitare l’ultimo atto da marito era una novità di qualche giorno prima, quando la consorte gli aveva fatto recapitare dall’avvocato una sorprendente richiesta di separazione che l’avrebbe costretto a vivere gli anni a venire con un budget mensile da senzatetto.

    Ma quel 10 dicembre, come se niente fosse, sarebbero arrivati i quattro figli, da anni fuori casa, per addobbare l’albero e lui aveva l’ordine di non dire nulla «per non rovinare le feste ai ragazzi» aveva sibilato lei. 

    Fabio, uomo mite e incline all’obbedienza, si era attenuto al diktat, ma aveva altresì escogitato un piano confessato solo al gatto. Sapendo che da quel giorno ci sarebbe stato un viavai di nuore e nipoti per depositare i doni sotto le fronde, l’uomo aveva deciso di liberare il suo silente grido personalizzando gli addobbi.

    L’albero venne così allestito fra risate e sorrisi ma, già da quella notte, si arricchì della minuscola scritta “Che palle!” tracciata da Fabio con il pennarello indelebile su una preziosa coppia di sfere antiche posizionate in alto.

    La manovra passò inosservata a tutti tranne che alla nipotina Dora di anni 6 che, montata un pomeriggio sulle spalle del nonno, lesse la scritta ad alta voce.

    A seguire, all’interno delle sfere apribili che la famiglia riunita avrebbe dischiuso la notte di Natale, comparvero la sua fede nuziale dipinta di nero, la lettera dell’avvocato formato mignon, un escremento del gatto pitturato di rosso e biglietti con imprecazioni varie, tutte diversamente originali. 

    I parenti, che andavano e venivano da casa osservando curiosi le sfere nelle quali si intravvedevano via via nuovi contenuti, sorridevano all’idea di cosa avrebbero svelato giacché la tradizione delle palle apribili era sempre stata foriera di sorprese quali bimbi in arrivo, traslochi, progetti, pensieri d’amore.

    “Già, pensieri d’amore - pensò Fabio - dove erano naufragati i suoi?» 

    Mentre la vigilia gli stava galoppando addosso e la sua angoscia se ne stava compressa e pronta a esplodere all’interno delle sfere, Fabio si sentì attaccato allo stesso filo dal quale pendevano le nuove palle di quel Natale, palle che, nel deserto riarso dei sentimenti, avrebbe voluto prendere a calci perché diventassero quantomeno boati da goal di campionato. 

    Uscì dalla sua camera seguito dalla coda complice, la casa era avvolta dal silenzio della notte, andò in sala e, nell’infilare furtivo in una palla il suo fischietto da ex arbitro, pensò: “Sto per nascere anch’io, come Gesù, fra mille difficoltà. Palla rossa del cuore a centro campo, allora, la finale di coppa è ancora tutta da giocare e il fischio d’inizio, stavolta, dipende solo da me”. 

    Tornò a letto e si infilò sotto il piumone insieme al gatto e a un’inaspettata leggerezza. Gli sembrò di udire un fischio e sorrise immaginandosi il suo calcio d’esordio. “Dopo tutto - pensò - non c’è mai stata fine senza nuovo inizio. Da tempo immemore”.

     

     

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    #10dicembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano109

    UN APPUNTAMENTO FISSO CON SE STESSI

    Cosa faccia Sergio ogni giorno dalle 11 e 30 a mezzogiorno non lo sa nessuno, in azienda. L’agenda condivisa con la segretaria e il personale segnala sempre un impegno marcato in rosso che, nel linguaggio interno, significa: non disturbare per alcun motivo.

    Sono anni che quella mezz’ora intoccabile è oggetto di borbottii e illazioni. 

    Ore 15. Macchinetta del caffè. Sergio sta bevendo una cioccolata calda quando arriva Antonio, un neo assunto che, con fare indifferente, gli chiede: «Tutto bene?» «Sì, grazie. Tu?» «Anch’io se non fosse per un tarlo che mi tiene sveglio pure di notte».

    «Mi spiace» dice Sergio.

    «Anche a me» sorride Antonio. Silenzio. Riprende: «Forse potrebbe aiutarmi».

    «Sentiamo».

    «Glielo dico tutto d’un fiato: cosa fa lei chiuso nel suo ufficio ogni giorno alle 11 e 30?» 

    Lo sguardo di Sergio è un misto di cordialità e furbizia mentre butta il bicchierino nel cestino e, allontanandosi, fa: «Non dormiresti per questo? Allora sei un uomo fortunato. Abbiamo bisogno di uomini così in azienda, fortuna chiama fortuna».

    Che poi non è sempre andata così. All’inizio è capitato che Sergio rispondesse ai suoi dipendenti con un «Non faccio niente» ma, non credendoci nessuno, ha preferito tenere per sé quel suo nulla, pieno di tutto.

    In realtà lui, ogni giorno a quell’ora, ha un appuntamento fisso con se stesso.

    Spegne tutti i collegamenti con il mondo esterno e si mette davanti alla vetrata. Contempla il castello di Brescia, che dal suo ufficio si vede benissimo, e osserva ciò che gli si agita dentro.

    Se ci sono pensieri che affiorano, li guarda, se ci sono fastidi interiori, lui li lascia emergere. Non vuole risolvere alcunché, Sergio, dalle 11 e mezzo a mezzogiorno, semplicemente sta in compagnia delle ombre che si annidano nei recessi dell’essere umano, senza accusare nessuno, senza lamentarsi, senza giustificare.

    Lo fa perché ha scoperto che da quando ha smesso di fuggire dalle spiacevolezze riempiendosi ogni minuto con incombenze varie, ma li osserva, i suoi irrisolti esistenziali, non solo questi si dissolvono, ma anche la realtà esterna si modifica perché, come afferma Elio D’Anna, ”Il più piccolo cambiamento dento di noi muove montagne nel mondo degli eventi”. 

    «Quello che vediamo fuori è prima di tutto al nostro interno - afferma Sergio - per questo è fondamentale sbirciarsi dentro, far emergere ciò che ci disturba e, prova anche tu, quando lo fai quello che ti succede fuori, cambia. È una diretta conseguenza.

    Sembrava folle anche a me, ma poi ho provato e toccato con mano che la realtà esteriore specchia veramente quella interiore, rappresentandola».

    A volte Sergio apre il suo diario tascabile e scrive qualcosa. Per lo più sono parole di ringraziamento, quelle le trova sempre perché lui apprezza il poter camminare, sentire, vedere, è uno che ama il gelo delle giornate d’inverno come il vento che sferza la città, il sole che la rende bollente d'estate e i tappeti di foglie autunnali che la colorano.

    Per il mondo Sergio è un imprenditore di successo, per me l’amico che mi ha insegnato a fissare in agenda, ogni giorno, un appuntamento con me. E a non averne paura.

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    LO FACCIO è uno strumento per creare l'appuntamento con se stessi, un quaderno che contiene poche righe scritte e molte pagine vuote per dialogare con il proprio Io, per lasciar andare ciò che non serve più, per liberare il potere creativo e creatore dell’intenzione.
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    #17dicembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano11

    L'INVERNO NON è MORIRE, È ATTESA DI PRIMAVERA

    È ghiacciato l’inverno, e io lo adoro quando intirizzisce di gelo il paesaggio, cristallizzando bianchezza ovunque. Passeggio lungo il sentiero incorniciato dagli arbusti che, silenti sentinelle rivestite di candore, fiancheggiano impettiti i miei passi svelti.

    Il silenzio è ovunque e la morte sembra avvolgere con il suo drappo rigido alberi, steli d’erba e cespugli che, immobili, la accolgono.

    E noi, come ci comportiamo innanzi al mistero del Grande Valico? È umano temere ciò che non si conosce e quindi esorcizzarlo o rimuoverlo dai pensieri, ma il nostro divagare non ci eviterà quell’appuntamento inamovibile e già fissato sullo scadenzario del destino.

    Mi affascina la leggenda uzbecka musicata da Vecchioni nella quale un soldato, durante i festeggiamenti per la fine della guerra, vede lo spettro della morte osservarlo in modo maligno; il giovane, preso dal panico, chiede al sovrano il cavallo più veloce “figlio del lampo, degno di un re” per scappare fino alla lontana città di Samarcanda, proprio il luogo dove la “nera signora” aveva fissato l’appuntamento con lui.

    Mentre il racconto popolare narra l’ineluttabilità della fine alla quale è inutile cercar di sfuggire, nel profondo dialogo che intercorre fra uomo e natura, l’inverno ci insegna a non aver paura della morte perché la Vita non ha mai mancato una primavera.

    Tutto scorre, panta rei e, da tempo immemore, le stagioni della nostra vita vanno in scena ogni anno sul palcoscenico del mondo:

    concepimento e nascita avvengono in primavera, i germogli spuntano teneri e fragili ma via via si rinforzano e sono come un bimbo che inizia a gattonare e poi a muovere i primi passi fino a diventare un giovane uomo;

    al rigoglioso culmine della fioritura sboccia l’estate, l’età adulta, caratterizzata da quei verdi virgulti divenuti frutti più o meno succosi e nutrienti a seconda delle caratteristiche genetiche, ma anche dell’ambiente, del sole, dell’acqua e delle amorevoli cure ricevute.

    Segue l’autunno, la vecchiaia, il lasciar andare, insieme alle foglie, tutto ciò che non serve più, per concentrarsi sull’essenziale invisibile agli occhi, dice Saint-Exupéry.

    Infine l’inverno, la morte, il cambio d’abito; tutto è fermo, pallido, ma solo in apparenza perché all’interno dei fusti, la linfa continua a scorrere in attesa della rinascita primaverile.

    Quanta bellezza nello specchio della natura, nel suo tranquillizzarci mostrandoci la linfa vitale che in noi si chiama Spirito e che, immortale, quando il nostro corpo torna alla terra, continua il suo viaggio attraverso le primavere dell’esistenza.

    E allora guardiamolo, questo inverno, e rilassiamoci!

    La natura non è morta, si sta solo riposando e ci invita a fare lo stesso, a godere di un tè caldo come di un buon libro e di un sonno ristoratore. È un intimo richiamo a gustare ogni momento di questo cammino accettandolo così com’è perché, con le sue miserie e meraviglie, è vita, un frangente unico e irripetibile d’eternità.

     

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    #16 gennaio 2021
    #GiornaleDiBrescia
     

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  • bellezzanelquotidiano110

    È ORA DI DARE I NATALI A QUESTO NATALE

    Dicembre è un mese accelerato, c’è tensione nell’aria, sta per consumarsi il dramma del Natale, lo si avverte nei discorsi e sul lavoro fin dai primi giorni. L’umanità sembra entrare in una centrifuga che la shakera e restituisce dopo l’Epifania, insieme a un sospiro di sollievo. 

    È come se questa non fosse una notte, ma un crinale che divide l’anno fra il prima e il dopo stasera.

    Il perché l’ho capito il mese scorso a Malta, una terra sferzata dal vento e abbracciata dal blu inchiostro del mare, uno Stato che filodiffonde musica per le strade addobbate, una Repubblica con 359 chiese attive su 315 Km2 di superficie, un territorio dalla profonda tradizione cattolica caratterizzato da un’economia avanzata e da grande religiosità ma, mio sentore, da assenza di spiritualità.

    A Malta manca il cuore, un po’ come nella finzione di certi Natali (che non si vede l’ora che passino) tesi nell’allestimento di un palcoscenico dove si consumerà un evento troppo grande per trovar spazio nella piccolezza dei cuori umani, ma l’organizzazione del quale, nella cura della cornice di musiche e regali, nei sorrisi pitturati in volto e nelle parole di circostanza, potrà stemperare l’inconscio disagio dato dal non senso di tutto ciò.

    Non sono certa che la frenesia che si respira venga dall’obbligato e non sempre piacevole ritrovarsi fra parenti, dall’impotenza delle assenze volontarie incancrenite dal tempo e da quelle involontarie di chi ha ‘cambiato abito’,

    io penso sia dovuta all’inconscia percezione di non avere ancora trovato il senso della propria vita e che Natale ce la sbatta in faccia, questa voragine interiore, mentre noi ci giriamo dall’altra parte in cerca di strenne, renne e rendez-vous ‘per farci gli auguri’… che tutto questo passi presto, forse.

    Possiamo continuare a scappare oppure sfrondare questa festività dai fronzoli e dare un senso al nostro essere nati con un fine: portare l’Amore nel mondo. Troppo?

    E se quel bimbo nella mangiatoia, stanotte, ci parlasse della nostra rinascita e del nostro essere sulla Terra per recuperare Regalità e ricordarci Chi Siamo?

    Quale migliore occasione di questa Vigilia per bruciare il vecchiume che ci appesantisce, per lasciar andare i pesi che ci portiamo dentro e per mettere nel piatto la nostra intenzione di ripartire condita con la volontà di illuminare le nostre zone d’ombra e, con i familiari, gli amici o i quasi sconosciuti che avremo intorno, scoperchiare i cuori e dare finalmente i natali a questo Natale?

    Noi possiamo trasformiamoci da boe ancorate a blocchi di rancore, in barchette leggere libere di muoversi nell’immensità oceanica. Ce lo meritiamo perché siamo uomini con un cuore, non boe di plastica che, gira che ti rigira, sono sempre nello stesso punto. 

    Natale fa spuntare radici anche laddove noi non vediamo nulla e ci regala, sotto un albero che senza radici è già morto, una cesoia fiammante con un fiocco rosso.

    Possiamo usarla per troncare le catene che ci imprigionano da troppo tempo e per salpare verso il senso autentico della vita.

    Basta il nostro assoluto ‘Sì’.

    Il resto succede da sé.

    E Natale di rinascita sia! Di mare. Di tagli. Di verità. Di leggerezza. Buon vento!

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    #24dicembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano111

    FINE AI RIMPIANTI, E BUONA LINGUACCIA D'INIZIO

    Dopo aver lavorato in banca per anni, Bronnie decise, per un periodo della sua vita, di accompagnare i malati in fin di vita al traguardo finale, o iniziale a seconda del versante dal quale lo si guardi.

    Dei suoi incontri mi ha colpito quello con Rosemary, una ex dirigente di una multinazionale che “aveva scalato la piramide aziendale fino ai livelli più alti molto prima che le donne occupassero questo tipo di posizione nel mondo del lavoro” racconta.

    L’infelice matrimonio che la giovanissima Rosemary si era lasciata alle spalle le aveva indurito cuore e mente, trasformandola in una donna arrivista dal fare intimidatorio.

    Adesso che la fine del viaggio stava arrivando, Rosemary, spaventata e sola, continuava ad attaccarsi tenacemente al suo fare dispotico facendo programmi per il futuro e respingendo chiunque le si avvicinasse.

    “Non sopporto che tu sia sempre felice e che canti continuamente” disse un mattino a Bronnie.

    “Non le risposi a parole ma mi limitai a guardarla, poi feci una giravolta, le mostrai la lingua e uscii dalla stanza ridendo.

    La cosa le piacque molto perché, quando rientrai poco dopo, sorrideva maliziosamente e con accettazione”.

    Un giorno la fatidica domanda “Perché sei felice?” arrivò e Bronnie, alla quale la vita non aveva risparmiato nulla, nemmeno la malattia, rispose: “Perché la felicità è una scelta e cerco di farla tutti i giorni.

    Ci sono momenti in cui non riesco. Proprio come te, anche io ho avuto una vita difficile (…) però, invece che rimuginare su cosa è andato storto e su quanta fatica ho fatto, cerco il più possibile di trovare la gioia in ogni giorno e di apprezzare il presente. Siamo liberi di scegliere su cosa concentrarci.

    Io cerco di scegliere cose positive, come conoscerti, fare un lavoro che mi piace, non essere sotto pressione perché devo raggiungere un certo fatturato, e sono grata della mia salute e di ogni giorno che mi viene dato”.

    Anche Bronnie, come tutti, a volte era triste ma, quando succedeva, osservava e accettava questa condizione convinta che anche i periodi duri fossero portatori di doni e che la gioia la stesse già aspettando dall’altro lato del tunnel.

    Dalle testimonianze dei bilanci esistenziali narrati nel libro ‘Vorrei averlo fatto’ di Bronnie Ware, emergono principalmente 5 pentimenti:

    “Vorrei non aver lavorato così tanto”,

    “Vorrei aver avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti”,

    “Vorrei essere rimasto in contatto con i miei amici”,

    “Vorrei avere avuto il coraggio di vivere una vita fedele ai miei principi e non quella che gli altri si appettavano da me”,

    “Vorrei aver permesso a me stesso di essere più felice”. 

    Sabato 31 dicembre 2022. Se stiamo leggendo è perché per noi non è ancora troppo tardi per decidere di accettare il poco che c’è o il tanto che ci distrae, la salute o la malattia, la solitudine o la mancanza di spazio personale.

    Osserviamo ad uno ad uno i 5 rammarichi e lasciamoli emergere dentro di noi senza paura poi (e qui veniamo al punto cruciale) regaliamoci una bella linguaccia e una risata. Il resto verrà da sé. 

    Buona fine ai rimpianti!

    Buon inizio alla scelta di essere felici! Con quello che c’è.

    AUDIO ARTICOLO

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    #31dicembre2022
    #GiornaleDiBrescia


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  • bellezzanelquotidiano112

    SE LE FESTE CI OBBLIGANO AD ESSERE FELICI

    Le due donne sono sedute in una pasticceria bresciana. Le festività natalizie stanno scollinando e per loro è tempo di bilanci.

    “«Milva, senti, pensiamo al nostro Natale. Qualcuno ci ha stretto forte dicendoci dal profondo del cuore “Ti amo”? Intendo qualcuno di quelli importanti, tipo Giulio per te e mia madre per me?»

    Una lacrima scivolò sulla guancia di Milva che veloce la asciugò sistemandosi i lunghi capelli castani con naturalezza. Veronica continuò: «Le feste, io le odio, perché sembrano obbligarci a essere felici, a essere famiglia.

    Io ti ho detto che è stato bello e divertente, ed è vero, ma guardavo mia madre che aveva occhi e parole solo per Tommaso osannando il suo successo in Statistica - sorseggiò un goccio di caffè - e notare che ha preso diciotto al terzo tentativo.

    Io mi sono laureata in tre anni e una sessione con centodieci e lode e mai, dico mai una volta (…) che mi abbia detto “Brava Veronica, sono orgogliosa di te”.

    Quello si ubriaca, mangia come un maiale, continua a chiederle soldi, fa l’università in otto anni ed è il genio. Io, quella fortunata…»

    Il viso di Veronica si velò di dolore. Milva le prese la mano: «Non fare così dài, lo sai che a suo modo ti vuole bene».

    «Cosa vuol dire a suo modo? - alzò la voce rossa in viso - (…) Mì, il vero voler bene è uno solo, o c’è o non c’è».

    «Lei non può darti quello che non ha dentro, me l’hai detto tu stessa un sacco di volte. È una donna rigida con se stessa, prima di tutto, non puoi chiederle di manifestarti amore, non ce la fa. Magari non l’ha nemmeno ricevuto»”.

    Questa scena tratta dal mio romanzo “La Forza della Resa” contiene lo scoramento che può assalirci quando, gettando uno sguardo alle feste passate, non troviamo nulla di autentico. Nei ricordi ci sono sorrisi, regali, alberi addobbati, ma nulla di quello che per noi conta davvero. Ancora una volta ci scontriamo contro le aspettative.

    Quanto fanno male e quanto inutili sono nel loro raccontarci la cronaca della delusione annunciata di chi punta il dito sul fare e non fare altrui come scusa per non partire da sé! D’altronde è comprensibile: guardarsi dentro è difficile. Ma non siamo ancora stufi dei nostri pretesti di infelicità? 

    Se prendiamo le redini della nostra persona, ci rendiamo conto che i cavallerizzi siamo noi e che il destriero va dove lo stiamo conducendo con le briglie dei pensieri e gli speroni delle emozioni.

    Veronica, nel suo sfogarsi con Milva criticando i comportamenti altrui, ha perso una grande occasione: quella di rivolgere lo sguardo dentro di sé, esaminare da osservatrice esterna i suoi anfratti di dolore e scoprire che così facendo questi svaporano e smettono di proiettare eventi sgradevoli.

    Puntare il faro della nostra attenzione contro il buio del rancore o della sofferenza, lo illumina e fa scomparire. Perché basta una candela per rischiarare le nostre tenebre, ma solo noi possiamo decidere di accenderla. C’è un proverbio cinese che dice: È meglio accendere una candela che maledire l’oscurità. 

    Quindi?

    Mano ai fiammiferi, infuochiamoci di consapevolezza e propaghiamo l’incendio nel mondo. Il mio non è un augurio da piromani, ma da indomiti ricercatori di felicità!

     

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    #7gennaio2023
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