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LEO
Leo, capelli sporchi e sguardo assente, aveva bisogno di droga; appostato nel piazzale di un supermercato, stava cercando una buona occasione per catturare soldi, quando una signora aveva parcheggiato una mercedes station wagon nera e si era allontanata lasciando le chiavi nella vettura.
Fulmineo, Leo si era infilato alla guida e, acceleratore a manetta, era sfrecciato al campo nomadi di Udine dove lo zingaro capo convertiva i suoi furti in contanti.
Trecentocinquanta chilometri di autostrada ed era già lì. Pochi minuti e la mercedes si era trasformata in una mazzetta di denaro.
Leo si stava rapidamente allontanando, quando si sentì chiamare: «Leo?».
Il ragazzo fece finta di non sentire e procedette a passo spedito. Non ci voleva un ripensamento proprio quando lui aveva già i soldi in tasca e il bisogno sempre più corrosivo di farsi.
«Leo?», gridò ancora lo zingaro.
Il giovane si voltò: «Che c’è?», urlò muovendosi nervoso sulle gambe.
L’uomo gli fece cenno di avvicinarsi. Leo, a testa bassa, lo raggiunse.
Lo zingaro lo attendeva appoggiato al cofano della mercedes: «E… - disse accendendosi una sigaretta - che si fa con la vecchia?»
«Vecchia, quale vecchia?» chiese Leo.
«Quale vecchia?» esclamò l’uomo spostandosi sul lato della vettura e indicando l’abitacolo.
Dietro il sedile del guidatore sedeva un velo di donna, una presenza pallida e minuta con gli occhi sbarrati e la bocca chiusa. Aveva i capelli bianchi ingarbugliati, le mani appoggiate sulle ginocchia e la gonna a pieghe blu.
Leo strabuzzò gli occhi: «Ma? Da dove salta fuori questa?»
«Guarda che è roba tua».
«Roba mia? Che scherzi? Chi ce l’ha messa?»
«L’hai portata tu. È sempre stata lì dietro!»
«No! Giuro che… no! E adesso?»
Lo zingaro osservò lo sguardo perso del ragazzo e disse: «Va’, va’, ci penso io!»
Leo non se lo fece ripetere due volte, si girò e si dileguò fra le caravan a passo svelto, tirandosi su i jeans che il posteriore ossuto avrebbe dovuto sostenere.
Fu così che sul primo treno in partenza da Udine per Venezia, c’era una vecchia seduta vicina al finestrino. La donnina non aveva mai proferito parola. Aveva gli occhi impalati e la bocca serrata. Da sotto le mani ancora appoggiate sulle ginocchia, spuntava un pezzo di carta con scritto “Vado a Firenze”.
Leo di Bianca Brotto (storia vera raccontatami da "Leo")